13 dicembre 2009

Taranta e Tarantati

estatto dalla tesina di Sandra Graniti
La Taranta prende nome da un ragno chiamato Lycosa tarentula, anche se probabilmente anche il nome dell’insetto deriva dalla città di Taranto. In base ad antiche credenze popolari, il morso di questo ragno portava a delle reazioni isterico – convulsive, la cui, unica, cura era la musica e la danza. Le donne morse dalla tarantola, le tarantate, ballavano per giorni e giorni fino allo sfinimento. Il tarantismo nasce nel medioevo, ma conosce il suo periodo più florido a partire dal XVIII secolo fino ad arrivare al XIX, per subire un progressivo declino dettato dal miglioramento delle condizioni di vita e del benessere. La tradizione vuole che i Santi Pietro e Paolo sostarono a Galatina dove San Paolo, in segno di riconoscenza per l'ospitalità ricevuta da un abitante del paese, diede a costui ed ai suoi discendenti il potere di guarire coloro che fossero stati morsi da animali velenosi. Nel luogo dove il santo trovò ospitalità fu costruita la cappella dedicata San Paolo. Al suo interno sorgeva un pozzo la cui acqua benefica aveva proprietà terapeutiche per i tarantolati. Durante il rito di guarigione la musica suonava a ritmo frenetico e il morsicato, quasi sempre donna, si dimenava forsennatamente per terra. Il prodigio prevedeva che il tarantolato dovesse bere l’acqua del pozzo per poi rimetterla nella cavità dalla qale sarebbere usciti dei serpenti. Il tarantolato doveva quindi richiudere l’imboccatura con il coperchio per evitare che i rettili fuoriuscissero dalla cavità. Col tempo la falda acquifera si è inaridita e dal 1959 il pozzo è stato murato per motivi igienici.
Vittime del morso del ragno erano, per lo più, le donne che durante il periodo della mietitura del grano erano più esposte al rischio di essere morse dal ragno malefico. Durante la trance le tarantate esibivano dei comportamenti osceni, mimando rapporti sessuali ed orinando sugli altari. Per questi motivi la chiesa di San Paolo venne sconsacrata e San Paolo da santo protettore degli avvelenati cominciò ad essere ricordato come il santo della sessualità.
Dal punto di vista musicale possiamo dire che i ritmi e le melodie, della taranta, possono andare dal lento al vivace. È doversoso dire che vi sono anche dei sotto gruppi stilistici come per esempio la pizzica pizzica, pastorale, zumparella ecc. e vari sono anche i tempi in cui sono scritte (2/4, 6/8, ecc.), cosi come vari possono essere gli stumenti impiegati: chitrarra battente, tamburo, organetto e molti altri. La melodia è molto semplice, in generale le note si muovono per gradi congiunti con una nota che ritorna alla tonica.

11 dicembre 2009

Carlo Buti

Il cantante fiorentino Carlo Buti è considerato uno degli artefici di quel genere che verrà più tardi definito come canto melodico all’italiana. Il suo stile innova profondamente le tecniche canore del tempo, contaminando l’impostazione lirico-tenorile dei cantanti da romanza con gli abbellimenti vocali e i gorgheggi degli stornellatori toscani. Comincia a cantare fin da ragazzo nei locali della campagna fiorentina e nel 1931 partecipa al Festival di Piedigrotta. L’incontro con la melodia napoletana determina una svolta nella sua carriera che lo porta a pubblicare vari dischi di canzoni napoletane e a farlo conoscere a un pubblico più vasto. Sul finire degli anni Trenta è protagonista del primo boom discografico della storia italiana con canzoni come Portami tante rose e Violino tzigano, grazie anche alla grande popolarità che gli deriva dal fatto di essere il primo cantante lanciato dalla radio. La sua voce diventa popolarissima e il suo successo attraversa anche i confini d’Italia. I suoi dischi ottengono, infatti, qualche anno dopo, un buon successo di vendite anche negli Stati Uniti. Nel 1935 è il primo interprete di Faccetta nera, una canzone che non era nata per celebrare il fascismo come si può pensare ai giorni nostri. Tra i suoi successi sono da ricordare anche Bombolo, Quel motivetto che mi piace tanto, Parlami d’amore Mariù, Chitarra romana e Bambina innamorata.

Donna Lombarda

Donna Lombarda è una canzone epico-narrativa tra le più diffuse in Italia. Compare anche in alcune regioni del nord della Francia e in altre regioni europee a substrato provenzale-celtico. Il canto è stato fatto risalire all'epoca dei Longobardi e presenta numerosissime varianti regionali.
La storia narra di una moglie che cerca di avvelenare il marito su istigazione del proprio amante (spesso si tratta di un Re). Il delitto viene sventato da un bambino di pochi mesi (o di pochi anni) che miracolosamente comincia a parlare. Potrebbe essere giunta in Italia tramite i trovatori che si riunivano nel castello dei Malaspina ad Oramala, sulle montagne pavesi, per cantare le loro storie. Costantino Nigra la vuole legata alla vicenda di Rosmunda e Alboino, re dei Longobardi.
Donna lombarda donna lombarda donna lombarda donna lombarda amème mì amème mì
cos vot che t'ama che g’ho ‘l marito cos vot che t'ama che g’ho ‘l marito che lui mi vuol ben che lui mi vuol ben
vot ca t'insegna a farlo morire vot ca t'insegna a farlo morire t'insegnerò mì t'insegnerò mì
va ad cò dell'orto del tuo buon padre va ad cò dell'orto del tuo buon padre, là c'è un serpentin là c'è un serpentin
taglia la testa a quel serpentino taglia la testa di quel serpentino poi pestala ben poi pestala ben
e poi mettila nella botticella e poi mettila nella botticella del vin pusé bon del vin pusé bon
vien cà ‘l marito tutto assediato vien cà ‘l marito tutto assediato va a trar del vin da quel pusé bon
traghilà quel bianco traghilà quel nero traghilà quel bianco traghilà quel nero da quel pusé bon da quel pusé bon
donna lombarda cos’ha quel vino donna lombarda cos’ha quel vino che l’è intorbiolì che l’è intorbiolì
l’è stato il tuono dell’altra notte l’è stato il tuono dell’altra notte che l’ha intorbiolì che l’ha intorbiolì
ma un bambino di pochi anni ma un bambino di pochi anni lù l'ha palesà lù l'ha palesà
o mio buon padre non bere quel vino o mio buon padre non bere quel vino che l'è avvelenà che l'è avvelenà
sol per l’amore del re di Francia sol per l’amore del re di Francia io lo beverò io lo beverò
ogni goccino che lei beveva ogni goccino che lei beveva addio marì ciao marì
la s’intendeva da farla agli altri la s’intendeva da farla agli altri la s’l’è fatta a lé la s’l’è fatta a lé.