14 novembre 2011

Bukka White

Bukka White (? - 1977), il cui vero nome era Booker T. Washington White, imparò giovanissimo a suonare la chitarra da suo padre, un operaio delle ferrovie che nei fine settimana si dilettava a suonare vari strumenti. Quando la famiglia si trasferì nella zona del Delta del Mississippi, il giovane White rimase colpito dalla musica di Charlie Patton che ne influenzò lo stile.

Le sue prime incisioni risalgono al 1930 a Memphis per l'etichetta Victor, ma la crisi economica lo costrinse ad altri lavori. Diventò anche pugile professionista e giocatore di baseball. Nel 1937 tornò in sala di registrazione a Chicago, ma poco dopo venne arrestato aver sparato ad un uomo e incarcerato per tre anni al Mississipi State Penintentiary chiamato anche Parchman Farm (prigione che accolse molti dei primi bluesmen). Durante questo periodo scrisse alcuni brani diventati classici come Parchman Farm Blues, Good Gin Blues, Bukka's Jitterbug Swing, Fixin' to Die Blues e registrò due canzoni per gli etnomusicologi John e Alan Lomax. Quando nel 1940 Bukka White uscì di prigione, andò a vivere a Memphis e si mise a lavorare in un’industria che faceva carri armati per la seconda guerra mondiale.

Nel 1962 un giovane musicista esordiente, che aveva scelto di chiamarsi Bob Dylan, registrò il suo primo album inserendo una cover di Fixin' to Die Blues. Questo evento sarà determinante per l'attività musicale di Bukka che fu rintracciato e riscoperto da John Fahey e dal suo amico produttore Ed Denson. Incide l’album Mississippi blues e poi altri ancora fino al 1975, effettuando anche concerti e partecipando a folk festival. Da ricordare anche che Bukka White era cugino di B.B. King, molto più giovane di Bukka, che ha sempre riconosciuto il debito musicale nei confronti del cugino maggiore.

12 novembre 2011

Mississippi John Hurt

John Smith Hurt nasce in una numerosa famiglia del Mississipi e il nome dello stato sarà aggiunto al suo dalla sua prima casa casa discografica per caratterizzare il suo luogo di provenienza. Come molti suoi coetanei afroamericani deve presto lasciare la scuola per dedicarsi al lavoro dei campi. A nove anni impara a suonare la chitarra da autodidatta e, in seguito, si unirà a musicisti del luogo per suonare in occasione di feste e banchetti domenicali.


Nel 1927 ebbe l'occasione di incidere per la OKeh Records di New York, ma i suoi sei dischi a 78 giri realizzati non ebbero successo. Frankie, Avalon Blues e Praying On The Old Camp Ground erano alcuni dei suoi pezzi preferiti, concepiti solo per divertirsi insieme alla gente e non rientravano negli stereotipi del blues che la casa discografica ricercava. Tornò quindi a lavorare come mezzadro suonando per gli amici alla sera o alle feste di paese.

Nel 1963, dopo 35 anni e in pieno periodo del Blues Revival, il giovane musicologo Tom Hoskins decide di mettersi alla ricerca di questo chitarrista dopo aver ascoltato alcune vecchie registrazioni archiviate nella Biblioteca del Congresso. All'età di 71 anni Mississipi John Hurt riprende la sua carriera musicale esibendosi in molti festival nazionali, tra i quali il Newport Folk Festival del 1964 dove suonarono anche John Lee Hooker e Bob Dylan. Seguiranno incisioni (John Hurt Today!, The Immortal Mississippi John Hurt, Last Sessions e The Best of Mississippi John Hurt), concerti e persino un'apparizione televisiva.

Il successo, che non aveva mai cercato, lo raggiungerà poco prima della sua morte avvenuta nel 1966, consacrandolo come uno dei più genuini musicisti country-blues.

4 novembre 2011

Un anno in conservatorio

Concludo questo spazio dedicato al mio primo anno da docente del conservatorio di Santa Cecilia dato che è iniziato il nuovo anno accademico.

Come ho già scritto, alla fine ho fatto più che altro delle considerazioni sullo stato dei conservatori in generale che di quello romano in particolare. Il grande e caotico cambiamento in atto nell'istruzione musicale italiana è un evento che ha messo in difficoltà quasi tutti i conservatori, in particolare quelli più grandi. Tra i tanti, un problema che si è verificato è quello della improvvisa mancanza di spazio. Corsi fatti in precedenza da un solo insegnante (jazz e musica elettronica, per esempio) si ritrovano attualmente organizzati con materie nuove che hanno determinato l'immissione di altri docenti (spesso esterni, anche se la legge prevede l'utilizzo prioritario di docenti interni). Non parliamo poi delle (doverose) immissioni della musica antica e, in qualche caso, della popular music. Una conseguenza è stata quella della mancanza di aule e strutture adeguate. In particolare i conservatori come Santa Cecilia, ubicati in prestigiose sedi storiche, non possono moltiplicare gli spazi legati anche da vincoli architettonici. Morale: o si trovano sedi aggiuntive (come cerca di fare il nostro direttore), o si è costretti a difficili convivenze e ad effettuare un rigido orario che non tiene conto delle esigenze didattiche.

Per concludere vorrei scrivere sulla situazione degli studenti che sono la categoria più penalizzata da questa situazione. All'incertezza sul loro futuro, in un paese dove si considera la musica (e l'arte in genere) come cosa di poca importanza, si aggiungono numerose difficoltà pratiche. Sarebbe il caso che anche noi docenti pensassimo in primo luogo ai loro problemi e successivamente ai nostri. Pensare al loro futuro vuol dire pensare anche al nostro e questo vale anche per chi è prossimo alla pensione (sempre se ci saranno le pensioni nel futuro del nostro disastrato paese).