27 giugno 2014

La didattica della Popular Music nei conservatori italiani

Negli ultimi decenni lo studio della Popular Music è diventato una disciplina autonoma, soprattutto nei paesi anglosassoni. In Italia, dopo essere stata inserita tra gli studi universitari grazie anche al contributo di studiosi di fama internazionale come Franco Fabbri, da qualche anno ha fatto la timida comparsa in alcuni conservatori (Cuneo, Frosinone, Parma, Pescara e Trento). Questa scarsa diffusione è dovuta alla diffidenza che ancora oggi nutrono diversi docenti, spesso vittime di superati luoghi comuni dovuti alla scarsa conoscenza dell’argomento. Non è consolante sapere che le stesse diffidenze riguardano anche altre aree disciplinari come la Musica Antica, la Musica Elettroacustica e il Jazz che sono state già inserite nei conservatori italiani. 
Eppure lo studio della Popular Music in Italia inizia negli anni sessanta, quando Umberto Eco pubblica “Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa” (1964). Negli anni ottanta la rivista “Laboratorio Musica”, diretta da Luigi Nono, supera le schematizzazioni accademiche di genere occupandosi anche della “canzone” e della “Musica Rock”. Oltre a quelli citati, nel corso degli anni molti altri musicisti, studiosi e intellettuali italiani si sono occupati della Popular Music.
Vediamo di capire quali sono le diffidenze ancora presenti nei conservatori italiani. Molti pensano che la Popular Music sia un genere musicale legato a un mercato di massa o alla diffusione dei mass media; altri pensano che si tratti esclusivamente della musica di tradizione orale; altri ancora pensano che sia semplicemente un tipo di musica inferiore o che soddisfa gusti volgari (da vulgus: gente comune, popolare).
In realtà non si tratta di un genere musicale, tutt’al più si può considerare un contenitore di generi molto diversi tra loro: canzone, tango, rock‘n’roll, rebetico, valzer, celtica, liscio, cabaret, flamenco, new wave, etc. Questa enorme diversificazione fa si che la didattica della Popular Music sia da considerare in un’area interdisciplinare in quanto le tecniche di esecuzione sono estremamente diverse anche sullo stesso strumento.
Per il motivo esposto sopra, è chiaro che i docenti di strumento per la Popular Music non possono essere reclutati all’interno di un solo ambito musicale (Jazz, Musica di tradizione, Lirica). Difficilmente un docente di strumento può essere esperto delle diverse tecniche (alcune incompatibili tra loro). 
Basti pensare alla chitarra che viene suonata in modi diversi nel flamenco, nel rock o nella canzone napoletana. Se poi aggiungiamo altri strumenti a corde pizzicate come il banjo (nelle sue varianti a quattro, cinque o sei corde), la balalaika, il bouzouki, cavaquinho, il mandolino, l’oud, il sitar, l’ukulele e tanti altri, la complessità aumenta in quanto è impensabile reperire un insegnante per ogni genere o per ogni tipo di strumento. Richard Middleton (Emeritus Professor of Music alla Newcastle University, fondatore della rivista “Popular Music” e autore di numerosi scritti sull’argomento) scrive che “… la popular music può essere inquadrata opportunamente soltanto come fenomeno mutevole all’interno dell’intero campo musicale; e questo campo, insieme ai suoi rapporti interni, non è mai immobile - è sempre in movimento.” (R. Middleton, Studiare la popular music). Questo vuol dire che un docente non deve essere “esperto” di un determinato genere musicale, ma deve essere disponibile a muoversi all’interno dell’intero campo musicale.
In conservatorio sento dire da alcuni colleghi che la Popular Music non appartiene alla tradizione del nostro istituto. A questi colleghi voglio far notare di quanta musica di tradizione popolare viene regolarmente insegnata da anni, anche da loro. A distanza di secoli non tendiamo più a distinguere il genere popolare da quello considerato “serio” (peraltro solo da una determinata classe sociale dominante), perché tutto rientra nel calderone della tradizione. 
Quanti valzer facciamo suonare ai nostri studenti di strumento? Eppure il valzer è la musica di un ballo che a suo tempo era considerato rivoluzionario e scandaloso al pari del rock’n’roll degli anni ’50. Si trattava infatti della prima danza in cui i ballerini si abbracciavano.
Non è un caso che Johann Strauss II, considerato il maggior compositore del genere, nel 1848 si schierò apertamente con le proprie composizioni dalla parte dei giovani rivoluzionari, come si può evincere dai titoli delle sue opere del periodo: Freiheitslieder (Canti per la libertà) valzer op. 52, Revolutions-Marsch (Marcia della Rivoluzione) op. 54, Studenten Marsch (Marcia degli Studenti) op. 56, etc. Altro che musica della tradizione!
 Anche il singspiel (come le forme corrispondenti della ballad opera inglese, dell’opéra-comique francese e della zarzuela spagnola) appartiene alla sfera della tradizione popolare ed è all’origine dell’operetta e del musical. 
Eppure quante volte sentiamo nostri studenti impegnati con le arie dal Flauto Magico di Mozart. Potrei fare tanti altri esempi, ma concludo ricordando a questi colleghi che quando ero studente negli anni settanta c’erano molti docenti che facevano gli stessi discorsi a proposito di compositori come Debussy e Stravinskij!
Ignorare la Popular Music ai nostri giorni vuol dire ignorare la maggior parte della musica che viene attualmente suonata e con la quale molti nostri studenti si dovranno confrontare alla fine dei loro studi, quando inizieranno la professione musicale.